Perchè non mi piacciono le automobili

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La morte dell’auto italiana

Messaggioda cts » 13 feb 2021 09:14

Ringrazio Andrea perché mi ha fatto conoscere un buon sito motoristico e Jean Paul Mendoza perché ha scritto l'articolo seguente, che avrei voluto scrivere io... Continuate a seguirci perché stiamo per aprire un Forum automobilistico che sarà il gemello di questo nostro piccolo Forum!

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La morte dell’auto italiana

C’era una volta l’auto italiana. Così come c'era una volta l'auto inglese.

C’era una volta l’auto italiana. C’era una volta, perché ora non c’è più. Sta per morire, non manca molto, non è ancora successo ma succederà tra qualche anno.
E la colpa di questo decesso non ha il nome di una costellazione e la forma di una fusione tra un gruppo industriale italoamericano e uno francese.

Dagli anni '80 è iniziata l'agonia. E gli avvoltoi stranieri - tedeschi prima, giapponesi dopo e coreani di recente - hanno iniziato a svolazzare attorno alla moribonda industria automobilistica italiana.
No, la colpa di questo decesso ha radici lontane che affondano negli anni ottanta, quando c’era ancora la Guerra fredda, la globalizzazione non era ancora stata teorizzata, la lira era svalutata, quasi nessuno pagava le tasse e l’Italia si reggeva sulle tangenti e il lavoro nero.
In quel periodo l’auto italiana ha vissuto i suoi ultimi anni ruggenti, prima di iniziare un lento, costante e inesorabile declino.
Nello stesso periodo, altri marchi di altri Paesi hanno gettato le basi per diventare quello che sono ora: i padroni del mondo automobilistico. I tedeschi prima, i giapponesi subito dopo e i coreani più di recente, hanno iniziato a erodere quote di mercato, ad aumentare le vendite, a migliorare l’immagine dei loro marchi e a vincere nel motorsport.
Insomma, hanno iniziato a fare tutto quello che serve per vendere auto in grande quantità, facendo profitti.

Trionfavamo nei rally degli anni '70 con la 131 Abarth, Lancia 037, negli anni '80 con Lancia S4 e negli anni '90 con Lancia Delta Integrale. Senza parlare delle vittorie nel DTM dell’Alfa Romeo 155. Signori, eravamo l'ITALIA! Adesso non siamo più nulla!
È tutto scritto nei numeri e i numeri non mentono mai. Ma come è potuto succedere? Come ha fatto l’Italia a dissipare un patrimonio motoristico senza eguali nel mondo?
Non stiamo parlando della Gran Bretagna, le cui auto – tranne qualche eccezione di cui bastano solo due mani per tenere conto – hanno sempre fatto pena sotto quasi ogni punto di vista.
No, stiamo parlando della terra dove sono nati i più bei sogni a quattro ruote della storia e anche alcune tra le auto più pragmatiche e razionali mai prodotte.

Le colpe? Come al solito della classe dirigente.
Stiamo parlando della terra dove nel Dopoguerra si costruivano i primi V12 in grado di cantare oltre gli 8.000 giri, mentre dall’altro lato delle Alpi si tentava di taroccare il motore del Maggiolino.
Che cosa è successo, dunque?
Per dirla in modo cinematografico “tutto quello che si poteva sbagliare è stato sbagliato” e la colpa non è solo di una persona – anche se sarebbe bello avere un capro espiatorio con l’orologio sul polsino, la “r” moscia e un amico americano – ma di un intera classe dirigente meschina e incapace, figlia di un Paese dove la parola “programmazione” si trova (si trovava) solo sulle guide TV.

L'inizio della fine. La Fiat dopo la Lancia prende tutto (Alfa Romeo, Maserati, Innocenti) e non ha più concorrenza interna. Pessima cosa!
Ma andiamo con ordine e torniamo ai mitici anni Ottanta, laddove la fine ebbe inizio.
Nella prima parte della decade le cose, tutto sommato, andavano abbastanza bene.
Fiat aveva modelli di successo – Panda, Uno, Tipo, Croma – e Lancia viveva il suo migliore periodo commerciale, seppure con vetture – Y10, Delta, Thema, Prisma – che tecnicamente si differenziavano poco o niente dalle Fiat.
L’Alfa Romeo viveva gli ultimi fasti della piattaforma dell’Alfetta (75, 90, Alfa 6) e poi aveva le trazioni anteriori derivate dall’Alfasud (Arna e 33).
Peccato che a causa del controllo statale attraverso l’IRI perdesse un sacco di soldi e così nel 1986, per evitare che finisse in mani estere (Ford) fu “regalata” alla Fiat.
Maserati era alle prese con tutta la genia delle Biturbo – tra molti dolori e poche gioie – mentre la Ferrari se la cavava con la serie 308, la Mondial, la Testarossa, la 412 e le mitiche 288 GTO e F40.
I numeri, guardando all’Europa, dicono che nel 1990 Alfa Romeo vendeva 200.000 auto all’anno, Fiat 1,3 milioni e Lancia 300.000.

Quote di mercato regalate ai marchi esteri. E Marchionne (uomo di bilanci e report) prendeva un vecchio bidone americano rimarchiato Thema, per poi dire “Lancia all’estero non la vuole più nessuno”...
Oggi, trenta anni dopo (i numeri sono aggiornati al 2019), Alfa è scesa a 54.000, Fiat a 630.000 e Lancia a 58.000. Sono più o meno 1,1 milioni di auto italiane andate in fumo in trenta anni e, si badi bene, in questo periodo il totale delle auto nuove immatricolate ogni anno in Europa è rimasto più o meno lo stesso, nell’intorno dei 14-15 milioni.
Quel milione abbondante di auto, dunque, adesso lo producono e lo vendono altri brand.
Brand che clienti hanno scelto al posto dei marchi italiani per motivi come appeal, affidabilità, convenienza, prestazioni, eccetera, ma a volte anche per totale mancanza del prodotto stesso.
Dopo aver acquisito l’Alfa Romeo, infatti, il Gruppo Fiat non aveva più concorrenti in Italia, ma anziché sfruttare questa sinergia come punto di forza, ne ha fatto un punto di debolezza. Se i prodotti hanno retto nei confronti della concorrenza fino ai primi anni Novanta, da quel momento in poi è mancato tutto e anche quando ci sono state automobili potenzialmente allettanti sul mercato europeo (l’Alfa Romeo 156 sia un esempio per tutte) non sono mai state supportate nel modo giusto.

Dopo la caduta del Muro di Berlino e la creazione del mercato comunitario, l’auto italiana si è trovata di colpo impreparata ad affrontare la concorrenza estera. E non dimentichiamoci che il progetto della Fiat Lucciola poi venne venduto alla Daewoo che ne fece un'auto di successo, la Matiz!
Per vendere le auto, infatti, servono azioni di marketing, affinché il pubblico le conosca, presenza sul territorio attraverso una rete di concessionarie, perché sappia dove comprarle, e adeguata assistenza post-vendita, cosicché il cliente resti fedele al brand.
In Europa il Gruppo Fiat non ha mai avuto tutto questo nemmeno lontanamente e non ha mai neanche davvero tentato di crearlo.
Così, dopo la caduta del Muro di Berlino e la creazione del mercato comunitario, l’auto italiana si è trovata di colpo impreparata ad affrontare la concorrenza estera.

Skoda, Daewoo, Hyundai, Kia, Dacia... che marchi sono questi qua?
Un percorso di erosione di quote di mercato progressivo e inesorabile, che ha visto i brand italiani perdere il confronto con tutti gli altri: con quelli che nemmeno esistevano (Skoda, Hyundai e Kia), con quelli premium (Audi, BMW e Mercedes) che in trenta anni hanno più che raddoppiato le vendite e ovviamente con i rivali diretti (Ford, Opel, Peugeot, Renault e Volkswagen). I numeri sono impietosi e li abbiamo riassunti in questa tabella qui sotto. Basta guardarli per trarre le conclusioni.

BRAND / Vendite anno 1990 / Vendite anno 2019
ALFA ROMEO / 204.000 / 54.000
FIAT / 1.340.000 / 630.000
LANCIA / 300.000 / 58.000

AUDI / 369.000 / 740.000
SEAT / 314.000 / 505.000
SKODA / 29.000 / 745.000
VOLKSWAGEN / 1.406.000 / 1.757.000

BMW / 364.000 / 825.000

MERCEDES / 438.000 / 907.000

FORD / 1.537.000 / 992.000

OPEL / 1.548.000 / 808.000

CITROEN / 639.000 / 627.000
PEUGEOT / 1.079.000 / 968.000

RENAULT+DACIA / 1.315.000 / 1.633.000

NISSAN / 395.000 / 395.000

TOYOTA / 363.000 / 730.000

HYUNDAI / —- / 547.000
KIA / — / 488.000.

Meriti (tanti) e demeriti (troppi) di Sergio Marchionne. Che ha fatto solo e soltanto quello per cui era pagato: vendere la Fiat (non vendere "le" Fiat) e arricchire gli azionisti (la famiglia Agnelli) facendo gli "spezzatini". Hanno preso dall'Italia contributi, cassa integrazione e quant'altro ma poi quelle (poche) auto sono andati a farle dove costava meno...
Considerando questo scenario di partenza e ricordando follie da ricovero per manifesta demenza come l’invenzione del common rail e la successiva regalia, oppure la non produzione di auto come l’Alfa Romeo Kamal, che nel 2003 aveva inventato il SUV sportivo, è quasi un miracolo che Marchionne sia riuscito a salvare il Gruppo facendo il gioco delle tre carte – ricordate la mitica Dodge Dart? – con Obama.
Al manager italo-canadese va dato anche atto di aver resuscitato la Maserati, di aver reso la Ferrari quello che è oggi e di aver fatto un tentativo, poetico quanto disperato, con l’Alfa Romeo.
Se oggi esistono due auto come la 4C e la Giulia, il merito è suo.
Ovviamente suo è anche il demerito di non essere riuscito a proseguire nell’opera, ma perlomeno ci ha provato e, del resto, avrebbe avuto bisogno di molto più tempo che, purtroppo, non ha avuto.
Perché se è vero che “Nessuno aveva il poster della Passat in camera”, come disse Sergio, e se è vero – aggiungiamo noi – che negli anni settanta l’Audi nemmeno esisteva, è vero anche che questi due brand tedeschi hanno passato decenni a sfornare prodotti, migliorare la loro immagine e vincere nel Motorsport. E i risultati ora si vedono.

Che cos'è rimasto dell'auto italiana, oggi? Supercar a parte... niente! E la qualità? Niente, neppure (anzi, soprattutto) quella!
Oggi, quello che rimane dell’auto italiana – supercar a parte – sono una serie di piccole Panda di forme diverse – Abarth 595, Panda, Ypsilon – una orrenda Tipo che si vende solo perché costa poco, una 500X nata solo grazie alla gemella Jeep e le due Alfa a trazione posteriore/integrale.
Ah si, c’è anche la 500 Elettrica, i cui destini sono tutti da decifrare.
Tutto il resto è scomparso, anche un progetto incredibile come quello dell'Alfa Romeoa 4C. La berlinetta del Biscione meriterebbe un capitolo a parte: la monoscocca in carbonio, il motore centrale, le forme da supercar e quel marchio sul cofano, avrebbero potuto trasformarla in un successo globale, una vera icona del made in Italy.
Invece è stata trattata con fastidio, quasi come una presenza scomoda e lasciata morire dopo soli 6 anni.
Uno scempio, un abominio. Pensate alla Lotus, che resiste da venti anni vendendo praticamente la stessa auto, fatta ancora di pannelli di alluminio incollati.
E poi pensate a tutto quello che sarebbe potuto nascere intorno alla 4C, campionati monomarca, versioni GT3 e GT4, club, eventi dedicati, versioni più potenti e speciali. E invece? Niente.

Possiamo ancora considerare italiana la Fiat?
In verità è meglio non pensarci, perché le due emozioni che si alternano sono rabbia e tristezza. Quelle di veder morire l’auto italiana.
E poi c’è la nuova costellazione in arrivo. Quello che rimarrà dell’industria automobilistica italiana verrà prodotto su piattaforme francesi, in uno stabilimento polacco.
Il destino delle altre fabbriche rimaste aperte in Italia è tutto da vedere e anche se i colletti bianchi hanno promesso che nessuno resterà a casa, sappiamo bene quanto valgono queste promesse.
Infine, non bisogna dimenticare che la direzione sarà francese.
Voi, se voi doveste chiudere una fabbrica, scegliereste di combattere con i nostri sindacati a colpi di mortadella o con dei gilet gialli incazzati che danno fuoco a tutto?

Vedremo.

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Re: Perchè non mi piacciono le automobili

Messaggioda Chris » 14 feb 2021 09:18

Eppure noi italiani non abbiamo mai capito nulla.
Tralasciando le scelte politiche che nel corso degli anni ci hanno sempre più declassati invece che migliorati, saltano veramente i nervi a leggere come siamo stati capaci di gettare alle ortiche incredibili progetti industriali che col tempo (programmazione) avrebbero dati ottimi frutti e per cosa? Per avere un immediato guadagno e la vendita dei diritti dei common rail ne è la dimostrazione. "Meglio la gallina oggi o le uova domani?". "Che discorsi meglio la gallina!".
Dobbiamo ammettere che la politica e management statali italiani (Iri di Prodi) si sono impegnati per non rimettere in pista prodotti ottimi come invece ha fatto lo Stato francese con Renault che giocando le carte Dacia e l'accorpamento con Nissan, stanno facendo cose egregie.
Niente da fare signori, se gli Agnelli avessero pensato a qualità e vittorie anche solo la metà di quello che hanno riservato alla Juventus, oggi i mercati stranieri automobilistici parlerebbero italiano e non tedesco o giapponese.

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Re: Perchè non mi piacciono le automobili

Messaggioda cts » 15 mag 2023 14:47

Un altro motivo per il quale le automobili piacciono sempre di meno:
viewtopic.php?p=43295#p43295

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Perchè non mi piacciono i SUV

Messaggioda cts » 09 mag 2024 16:13

Da parecchi anni il mercato automobilistico europeo è dominato dai SUV (Sport Utility Vehicle), cioè quelle auto come le altre, ma più alte e più grandi, con motori maggiorati e pneumatici larghi e alti e a volte con quattro ruote motrici.
Al giorno oggi si vendono SUV in tutte le salse: mini-SUV, B-SUV,SUV-coupè, SUV 4x4, SUV-crossover eccetera.

Ma quali sono i veri vantaggi di un SUV?
Gli amanti di questa tipologia di automobili ve ne elencheranno parecchi, ma uno soltanto è reale.
Andiamo ad analizzarli...

  • Le dimensioni
    Anche se i fanatici dei SUV le reputano un pregio (sic!), le dimensioni così abbondanti procurano solo svantaggi.
    - Difficoltà di trovare parcheggio.
    - Spazio interno abbondante ma non quanto ci si aspetterebbe, visto che alcune altre tipologie di automobili - ben studiate - presentano lo stesso spazio interno ma con dimensioni esterne minori.
    - Maggior predisposizione a piccoli urti in spazi di manovra ristretti.
    - Maggiori costi di manodopera e ricambi in caso di interventi dal carrozziere.
    - Maggiori costi di lavaggio del veicolo.
  • Il peso
    Anche se i fanatici dei SUV lo reputano un pregio (...), il peso maggiore di questi veicoli peggiora quasi tutte le prestazioni e i consumi. Un’auto che pesa più di un’altra, a parità di altre caratteristiche, sarà meno brillante nelle prestazioni velocistiche e consumerà di più.
    Un’auto che pesa più di un’altra, consumerà maggiormente la strada che percorre e metterà a dura prova la robustezza del posto auto su cui è parcheggiata (si pensi alla presenza di inserti di vetrocemento nei posti auto condominiali o di rampe dimensionate per auto più leggere in quanto costruite in epoche in cui le vetture non erano così pesanti).
    La recente vicenda della Garisenda, la torre di Bologna pericolante, dovrebbe far comprendere quali sono gli effetti devastanti di un traffico composto per la maggior parte da mezzi pesanti come i SUV.
  • La sicurezza
    I fanatici dei SUV reputano un pregio la sicurezza passiva dei loro veicoli.
    Questo è assolutamente vero per loro, ma non per gli altri utenti della strada.
    Infatti, anche se un’automobile grande e pesante uscirà molto meglio da uno scontro con un’auto più piccola, bisogna ricordarsi che a bordo di un'auto piccola comunque sono presenti vite umane, non cavie o dummies.
    Inoltre, avere un'automobile così alta comporta un pericolo anche per chi segue un SUV, visto che in marcia non riesce a rendersi conto di che cosa accade avanti, poiché lunotto e parabrezza dell'auto che precede non sono più visibili al guidatore.
  • Il motore maggiorato
    I fanatici dei SUV reputano un pregio l'alta cilindrata dei loro veicoli.
    Però ovviamente più un SUV è grande, più ha bisogno di una grande cilindrata per muoversi, più costa e più inquina, anche perché nel traffico ci rimane più tempo.
    Non aggiungiamo altro.
  • Il baricentro
    Anche se i fanatici dei SUV non reputano il baricentro un aspetto importante, un SUV è sempre più alto di un corrispondente modello standard e questo può avere due effetti: un peggioramento della tenuta di strada o del comfort.
    Oppure di entrambi!
    Di solito, per ragioni di sicurezza si tende a privilegiare le qualità dinamiche a scapito del comfort, quindi si irrigidisce l’assetto per compensare l’effetto del baricentro sfavorevole.
    In poche parole, si rende meno confortevole un'auto che si vanta di esserlo...
  • Gli pneumatici larghi
    I fanatici dei SUV reputano un pregio avere gli pneumatici larghi, ma - estetica a parte - ragioniamoci su.
    Abbiamo visto con la voce precedente ("baricentro") che i SUV compensano il baricentro alto con un assetto più rigido.
    E su molti SUV il disagio dell’assetto rigido è attenuato da pneumatici dal fianco alto, che migliorano l’assorbimento sulle asperità secche.
    Sui modelli più costosi inoltre sono spesso offerte le sospensioni pneumatiche, che permettono di abbinare un ottimo assorbimento ad un assetto performante.
    In poche parole, gli pneumatici larghi comportano maggiori costi (di produzione e quindi di acquisto) e maggior inquinamento ambientale.
    Quindi meglio tacere di questo presunto vantaggio...
    Anche perché un vantaggio concreto dei SUV, condiviso con la maggior parte dei fuoristrada, è la maggiore facilità di parcheggio sui marciapiedi. Questa però è una caratteristica che rende SUV e fuoristrada particolarmente poco amati dagli altri utenti della strada, pedoni in primis...
  • L’aerodinamica
    Anche se i fanatici dei SUV non reputano l'aerodinamica un aspetto importante, occorre mettere in preventivo un peggioramento medio dei consumi di oltre il 10% rispetto a un modello simile della stessa marca, con punte superiori in autostrada.
  • Il prezzo di acquisto
    Anche se i fanatici dei SUV reputano il prezzo più alto dei loro veicoli rispetto ai corrispondenti "modelli normali" uno status symbol, tale sciocchezza non ha bisogno di ulteriori commenti.
    O meglio, certamente non sono sciocchi i produttori di SUV che ci guadagnano di più...
  • L’altezza del posto guida
    Offre un vantaggio concreto e uno psicologico.
    La posizione di guida solitamente più alta rispetto alla media delle varie auto genera una visibilità più ampia, rendendo la guida un po’ più sicura. E questo è un vantaggio concreto. L'unico vantaggio dei SUV!
    Il vantaggio psicologico, sempre legato all’altezza da terra, è di una maggiore rilassatezza, perché ci si sente meno angustiati dal traffico; e star bene alla guida è un sicuro elemento di comfort.


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